più di 10.000 lettori hanno scelto LE GRANDI DIONISIE...

sabato 18 febbraio 2012

E ce ne fossero!


L’opera da tre soldi
Di Bertold Brecht e Kurt Weill
traduzione Paola Capriolo
con
Massimo Ranieri, Gaia Aprea,
Ugo Maria Morosi, Margherita Di Rauso, Paolo Serra

e la straordinaria partecipazione di Lina Sastri

Regia Luca De Fusco

Teatro Olimpico – Roma
fino al 19 febbraio

Superfluo ripercorrere la sinossi di questo lungimirante testo del dramaturg tedesco che, con l’apporto di Kurt Weill, nel 1928 si assicurò il successo internazionale, nonostante la Germania e l’Italia fossero ad un passo dal baratro; ci sarebbero voluti quasi trent’anni per vedere sulle nostre scene, precisamente al Piccolo Teatro della città di Milano, un memorabile spettacolo diretto da Giorgio Strehler. Non si vive di confronti ma quando il nome del regista di uno spettacolo si sovrappone a quello del drammaturgo vale la pena farli, quantomeno, ricordare che l’Italia ha accolto in passato spettacoli che sono rimasti nei ricordi, nella memoria e nella storia.

L’edizione portata in scena al Teatro Olimpico diretta da Luca De Fusco strizza l’occhio, in effetti, non solo allo spettacolo strehleriano, ma direi alla linea stilistica della prima parte del lavoro del regista triestino. Appare evidente, per esempio, un riferimento all’edizione de L’albergo dei poveri del 1947, che vedeva una scena ridotta a maceria, quasi a voler descrivere sul palco la situazione storica del paese e dell’Europa intera. Ebbene le scene di Fabrizio Plessi, supportate da uno straordinario contributo “videoartistico”, ripropongono quel mondo, aggiornato alla contemporaneità attraverso l’utilizzo di “carcasse” di computer, televisori e altro materiale di consumo informatico. Un mondo “binario”, come il linguaggio informatico, un’opposizione tra bianco e nero – riportato in tutta l’ambientazione della scena, cui si aggiungono i costumi, le luci, gli stessi volti degli attori; tra vero e finto – come il teatro è;  tra giustizia e ingiustizia – come vive il nostro mondo. Il degadrato e surreale ambiente della Londra del primo Novecento, abitato da miserabili, falsi invalidi, strozzini e prostitute non si distacca dal nostro. Diciamocelo.
A questo quadro scenografico e scenotecnico si aggiunge l'importante contributo musicale anche se, nel caso specifico, si rimpiange un tantino il grande Fiorenzo Carpi che era riuscito in maniera, a nostro avviso, insuperabile a dare una netta corrispondenza tra musica-traduzione-parole. L'apporto musicale in questo spettacolo è fondamentale e gli attori riescono con la loro vivacità e padronanza vocale a darne il giusto valore. 
Apriamo il sipario sugli attori. 
Qualche tempo fa, l’editore Il Mulino, aveva pubblicato un libro, scritto da Ferdinando Taviani, Uomini di scena. Uomini di libro. Lo studioso e pedagogo teatrale aveva messo in luce un fatto inconfutabile sottolineando che non sono solo i libri a parlare di teatro, ma sono anche gli spettacoli, a volte – come in questo caso - gli attori. Guardando Massimo Ranieri (Mackie Messer), che si diverte come un bambino, Ugo Maria Morosi (Geremia Peachum), straordinario e preciso interprete e Margherita Di Rauso (Celia Peachum) che attira l’attenzione in maniera direi mistica ho pensato alle sacrosante parole espresse dal Taviani. Tre punte di diamante. Uno dei migliori tridenti d’attacco della nostra nazionale teatrale (consentitemi l’azzardato paragone calcistico!).
Tre attori in cui si riassume il teatro, il vero teatro: che insegnano ai giovani aspiranti attori e al pubblico cosa voglia dire “farsi attendere” sulla scena, sempre. Ad ogni uscita, un applauso.
Ad ogni ingresso, un benevolo sospiro del pubblico.
A dimostrare che lo studio, la costanza, l’impegno, il sangue, il sudore premiano, sempre.
Bravi anche gli altri interpreti, Gaia Aprea (Polly Peachum), Paolo Serra (Jackie "Tiger" Brown) oltre ai giovani attori, alcuni dei quali ottimi cantanti, che si sono distinti non foss’altro per aver collaborato con grandi maestri alla messinscena dello spettacolo.

Ma bisogna essere onesti fino in fondo, come lo siamo sempre. Non ci permettiamo nemmeno di mettere in dubbio l’assodata qualità artistica e professionale di una delle regine del teatro italiano, ci mancherebbe; ma analizzando, nello specifico, l’interpretazione di Lina Sastri in questo spettacolo, ci viene da pensare che “non si sia sentita tanto in parte”: pare che più che di una “straordinaria” partecipazione, come ci aspettavamo, si sia trattata di una “partecipazione” e basta. 
In ogni caso, giunga alla compagnia il nostro personalissimo applauso. 


 Buona Scena!
Carlo Dilonardo

Chiudendo il sipario…
Il pubblico italiano è un pubblico troppo adulto, stantìo. Il costo dei biglietti è troppo alto e nulla si fa per favorire l’accesso ai meno abbienti. Questi sono gli operai, gli universitari, i trentenni, i disoccupati, i fuori-sede, i giovani camerieri che per pagarsi corsi di teatro lavorano 10 ore senza un contratto nei pub e nei ristoranti e che riceverebbero molti più insegnamenti vedendo questi spettacoli che non seguendo sedicenti “maestri”. Il pubblico non va a teatro? Provi il teatro ad andargli incontro!
Le produzioni solide, forti come quelle di questo meraviglioso spettacolo dovrebbero provvedere a risolvere la situazione. Gli attori ormai affermati dovrebbero, per primi, farsi garanti. Soluzioni? Una replica ad 1 euro, per esempio. E si, lo sappiamo che sorride e sogghigna il caro lettore! Ma non sorrida! Il nostro teatro alla fine della guerra si è risollevato anche così.
Pensate come sarebbe stato bello vedere una platea di giubbotti e non soltanto di lussuosi visoni!
TEATRO D’ARTE. PER TUTTI.
Questo volevo dire e questo dico.

Nessun commento:

Posta un commento