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sabato 17 settembre 2011

Short Theatre, VI edizione

14 settembre, Teatro India, Roma

Corsia degli incurabili

di Patrizia Valduga
uno spettacolo di Valter Malosti
con Federica Fracassi
suono e programmazione luci, fonico G.u.p. Alcaro; costumi Federica Genovesi;
scelte musicali, luci, spazio scenico Valter Malosti;
musiche voci e suoni G.U.P. Alcaro, Harold Arlen & E.Y. Harburg, Ludwig Van Beethoven, Carmelo Bene, Uri Caine, Enrico Caruso, CCCP, Leonardo Maria Cognetti, Gabriele D’Annunzio, Filippo Del Corno, Giovanni Lindo Ferretti, Judy Garland, Christoph Willibald Gluck, Hélène Grimaud, Vincenzo La Scola, Franz Liszt, BJ Nilsen, Portsmouth Sinfonia, Akira Rabelais, Fausto Romitelli, Richard Strauss, Francesco Paolo Tosti, Richard Wagner, Tom Wallace, Chris Watson;
organizzazione Paolo Ambrosino; amministrazione Paola Falorni
una produzione Teatro di Dioniso / Residenza Multidisciplinare di Asti
in collaborazione con Teatro i / Festival delle Colline Torinesi

“La parola che amo più di tutte, firmamento”, una delle ultime frasi del monologo di Patrizia Valduga, il cui debutto romano nell'ambito della manifestazione di Short Theatre ha destato la meraviglia degli spettatori ad opera della folgorante messa in scena di Valter Malosti e, soprattutto, dell'imparagonabile interprete ideale del testo, Federica Fracassi. La collaborazione tra il regista torinese e l'attrice punta di diamante del Teatro I di Milano ha efficacemente confluito senza dubbio in un vero e proprio firmamento visivo dispiegatosi tra gli effetti luci e i suoni che accompagnano vivamente il tripudio passionale di parole che agitano il cuore dell'attrice nel corso del testo della Valduga. Studiato al bivio tra l' impatto musicale di notevole rilievo, sul quale da anni Malosti non si smentisce mai, e appunto il conseguente risalto sull'immagine della protagonista della scena, Corsia degli Incurabili diventa il tormentoso viaggio psichedelico dall'immobilità apparente di una malata terminale perennemente seduta sulla sua sedia a rotelle, ma aggrappata come ancora di salvezza alla fuga dell'apparenza contigua e sviscerale del mondo odierno, sia essa la guerra o la televisione “di Pippo Baudo”. Tali elementi non sono mai sin troppo sinceri quanto le emozioni e le pulsazioni di cui è preda la bianca e rossa donna, dal raggiungimento dell'amore al dolore inutile nato da altro dolore, e che nella voce e nello sguardo subnormale della Fracassi, risuonano da una grintosa foga di sentimenti, trasformatisi tutt'uno con l'apparato ricreato dal regista, come immagine poetica della malata ora abbandonata alla solitudine, ora divampatasi come un battito cardiaco potente quasi come a raggiungere la grandezza del cosmo. La luce sfiora e improvvisamente abbraccia l'attrice a seconda delle pause, del sussurrare e dell'impeto delle sue volontà, sino ad affievolirsi su una morte che si congeda dagli spasimi della luna, della musica di Paolo Tosti, di Chris Watson e così via. Cinque chiamate alla ribalta per uno spettacolo toccante e vivo che non può far rimpiangere alle precedenti generazioni di non aver assistito dal vivo, non ce ne vogliano gli altri, a dei connubi precedenti tipo Ronconi/Fabbri, data l'ampia dimostrazione di come sia possibile trovarne nell'attuale scena contemporanea.

Mauro Sole

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