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lunedì 30 maggio 2011

PASSIO LAETITIAE ET FELICITATIS
dal romanzo di Giovanni Testori
adattamento teatrale e regia Valter Malosti
con Laura Marinoni
e con Silvia Altrui
spazio scenico Carmelo Giammello
costumi Federica Genovesi
scelte musicali Valter Malosti
musiche Antonio Amenduni, Don Backy, Leo Ferré, Philip Glass, New Composers, John Tavener, Luigi Tenco, Giuseppe Verdi
suono GUP Alcaro ; luci Francesco Dell'Elba

Una cornice macabra vagamente ricordante il Thriller di Micheal Jackson e i set del cinema espressionista tedesco con tanto di bare innalzate e crocifissi, accentuati dalle luci di un rosso purpureo alternato a un rosso fuoco, rappresenta il luogo magico sacrale di un amore imperniato di luce divina: quello della monaca Felicita, con le sembianze di Laura Marinoni, per la giovane orfanella Letizia (Silvia Altrui). È una passione forte, disperata quella di queste due protagoniste che nel segno divino scoprono il sentimento nell'ombra della trasgressione e della provocazione, in un tempo rievocato ora ai tempi del Seicento, ora a metà della scorso secolo. D'altro canto questo testo poco conosciuto di Testori, rivisitato teatralmente da Malosti, risponde come altre sue opere (ad esempio Erodiade) della sua profonda fede, quanto però della sua convinzione di un forte senso laico al passo con le tematiche sociali quali la libertà sessuale, il desiderio carnale e quant'altro, ampiamente affrontate tra la gli anni Sessanta e Settanta. La regia di Malosti eleva le punte più alte di quest'intreccio amoroso sulla soglia del desiderio, specie grazie alla recitazione frenetica e spettrale della Marinoni, innamorata e dolce nello stesso tempo, tenendo conto anche della leggerezza iniettata davanti ad alcuni momenti salienti, compresi il racconto del fratello perduto della monaca. Non di meno viene la piccola Silvia Altrui, non sempre, ma grosso modo teneramente nella parte della vigorosa giovane orfanella stretta a se stessa e alle sue emozioni primordiali e “spirituali”, non condivise dalle altre suore, come ci fanno presumere i due personaggi. Per questo Testori le riavvicina completamente nella morte: un passo che Malosti celebra come un paradiso poetico di parole, un risveglio in un mondo dove due persone che parlano il linguaggio del fuoco d'amore possono felicemente riabbracciarsi, seppur questo finale si distacca fin troppo dal clima torbido, nero che ha costituito la maggior parte del ritmo e dello spazio dove sino ad ora le due donne hanno condiviso il proprio racconto.

7 Marzo 2011 – Mauro Sole

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