di Pier Paolo Pasolini
regia di
Bruno Venturi
con Antonio Piovanelli, Manuela Kustermann, Oreste Braghieri, Salvatore Porcu
scene e costumi Lino Frongia
realizzazione costumi Alessandro Lai per Sartoria Tirelli
realizzazione scene Mekane – Roma
disegno luci Valerio Geroldi
Come afferma Marco Ariani Pilade è Tragedia del Potere: un testo che mima con l'ambientazione nell'antica Argo (simbolo della moderna città industriale e industriosa) e con l'assunzione di personaggi allegorici (Atena, vero deus ex machina, che richiama anche il teatro rinascimentale), l'archetipo della tragedia classica. Il mito dell'amicizia tra Oreste e Pilade (con risvolti omosessuali, appena evidenziati nella messinscena) fu, nell'intenzione dell'autore, un vero e proprio autoritratto, ma anche il segno di una contraddizione vivente rappresentata nella sua scrittura. I due giovani sono i due volti dell'intellettuale Pasolini, della sua dolorosa doppiezza: Oreste è il borghese illuminato che razionalisticamente aderisce alle istanze di riforma della Sinistra; Pilade è il rivoluzionario oscuro e innocente, quasi asceticamente sdegnoso del progresso borghese ma in segreto attratto dalle sue seduzioni, rimandando all'infinito l'azione eversiva, per poi arrendersi, in una silenziosa rinuncia, al trionfo del Logos razionalistico incarnato da Atena. La tragedia pasoliniana presenta squarci illuminanti di un lirismo alto e asciutto, attenta a creare suggestioni mitiche e tragiche fortemente evocative, e si pone come testo meno toccato, rispetto alle altre sue tragedie, dalla cerebrale e violenta pressione ideologica.
Secondo noi è con questi tratti caratteristici che una messinscena si trova a doversi confrontare e il grosso sforzo interpretativo (supportato produttivamente dal TSI La fabbrica dell'Attore e La Nuova Complesso Camerata), di regista attori scenografo-costumista designer-luci, ha solo in parte portato a un'esecuzione scenica pienamente riuscita. Non crediamo che, come afferma nelle sue Note di regia Bruno Venturi, abbia giovato molto la scelta di praticare una realizzazione scevra da un'impostazione registica pre-fissata. Lo spettacolo risulta così sbilanciato, a volte squilibrato: appetto di un decòr arcaicizzante, convincentemente mediterraneo (sostenuto da un ottimo disegno delle luci), efficace per quanto semplice, e ben “abitato” dagli attori, ci troviamo ad assistere ad una recitazione, specie per gli interpreti di Oreste e Pilade (rispettivamente Antonio Piovanelli e Oreste Braghieri), indecisa tra esecuzione epicizzante e immedesimazione psicologica, vale a dire tra i passaggi di un testo giocato tra riflessione ideologica e slancio lirico. In particolare il personaggio di Pilade è tutto espresso in minore, per cui le sue contraddizioni, le sue incertezze profonde, il suo conflitto tra idee e sentimenti, non riesce a divenire “fatto” teatrale, processo comunicativo ed espressivo convincente e avvincente lo spettatore (e difatti la chiusura della tragedia, con l'attacco alla “dea” ragione, appare qui più uno sfogo improvviso, che l'inevitabile conclusione di un processo interiorizzato). Invece il giovane Salvatore Porcu ha una sua spontanea credibilità che ben supporta la sua presenza, in “assenza” di interpreti “giovani” quali dovrebbero essere gli attori per questo testo pasoliniano.
Discorso a parte merita, come quasi sempre accade, la stupenda Manuela Kustermann, sempre convincente, sempre perfettamente calata nella parte sororale di un Elettra senza età, come pure nell'allegorica e algida figura di Atena, o in quella potenzialmente consolante delle Eumenidi. Manuela fa “vivere” i suoi personaggi come realtà scenico-poetiche svincolate da determinazioni didascaliche testuali o registiche che siano. La Kustermann è una vera e grande “attrice di teatro”, fra le non molte rimaste nel povero, a volte derelitto, teatro italiano d'oggi. Sa lavorare nelle e colle sfumature, sa con la sola presenza fisica svariare tra più registri, fa suoi i propri personaggi senza annullare le intenzioni testuali e sottotestuali dell'opera pasoliniana. Possiamo dire che è la vera “attrazione” (ci si conceda questo termine) dello e nello spettacolo!
Antonio Piovanelli, da parte sua, ben asseconda la costituzione di un personaggio-vettore di idee, ma indugia troppo su una linea interpretativa che rischia molto di essere monocorde, a volte noiosa: ci dovrebbe anche essere l'entusiasmo e la convinzione, pur sofferta, nell'esprimere le proprie idee!
Molto efficaci gli interventi musicali, specie nel sottolineare la presenza delle Furie, o gli slanci emotivo-lirici dei personaggi: sono composizioni originali, che non solo creano atmosfera, ma costituiscono un correlato oggettivo dei conflitti in atto.
Per concludere, se fosse possibile, lo spettacolo meriterebbe di essere ulteriormente e meglio maturato.
Buona Scena!
Carlo Dilonardo – Giorgio Taffon
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