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mercoledì 20 ottobre 2010

GIORNI FELICI
testo
Samuel Beckett
regia, scene e ideazione luci
Robert Wilson

costumi e trucco Jacques Reynaud , disegno luci A. J. Weissbard , suono Peter Cerone e Emre Sevindik,
con Adriana Asti nel ruolo di Winnie, e Giovanni Battista Storti nel ruolo di Willie,
assistente alla regia Christoph Schletz e Sue Jane Stoker , direttore di scena Amerigo Varesi, stage manager e aiuto regia Sara Thaiz Bozano, assistente alla scenografia Valentina Tescari
supervisione luci Marcello Lumaca, capo macchinista Antonio Verde, fonico Paolo Cillerai,
elettricista Mario Berciga

Roma, al Teatro Valle sino al 24 Ottobre

Mi piace GIORNI FELICI perché è allo stesso tempo molto semplice ed estremamente complesso. Si comprende immediatamente la situazione. Se compri il biglietto di uno spettacolo intitolato Giorni Felici, entri in teatro e vedi una donna sepolta fino al collo, puoi dimenticare la situazione e sentirti liberamente coinvolto. Nella mia messinscena vedo lo spazio come una giungla di asfalto e Winnie vi è intrappolata. Le linee sono molto nette. Blu e nere. Ma c'è anche un paesaggio magico...una sorpresa.(http://www.teatrovalle.it/index.php/robert-wilson/giorni-felici.html)

Cosa succede quando una delle più carismatiche attrici del teatro italiano, Adriana Asti, il temperamento pirotecnico e visionario di Robert Wilson, e uno dei testi più emblematici del teatro dell'assurdo, stroncato per anni, si fondono insieme? Un panorama inaugurato da un vento così impetuoso da spostare il sipario dalla sottile stoffa bianca che lascia spazio a un vulcano, ma più precisamente a una frattura dell'asfalto dove risiede mobilizzata nella sua caricatura fantasmagorica, questa donna misteriosa di mezza età dai biondi capelli, un colorito bianco e occhi immensamente espressivi: si tratta della Winnie di “Giorni Felici” di Beckett, che nella messa in scena di Wilson cercherà di far trapelare dai no senses beckettiani l'attesa di una azione che nel corso della piece in due atti, lascerà solo qualche spiraglio di luce su una non azione. Del resto è tipico di Beckett, e ancora oggi non è chiaro del tutto, specie al pubblico, che quando la sera si va a teatro a vedere un suo testo, ci si confronta con una cifra stilistica che non risponde proprio alle regole della retorica, non che il teatro in generale, a mio modesto avviso, abbia tanto a che vedere con essa. È ovvio che questa “cima umana” non può che immergere lo spettatore in un clima d’angoscia provocato dal deserto dell’immobilità, di quest’andamento luttuoso per la vita cui la donna è ancorata come una matrona che sorvola dall’alto, riappropriandosi di quel poco che le è concesso di vivere, dell’attenzione verso suo marito Willie (Giovanni Battista Sartori). Come se non bastasse questo marito non aggiunge nulla, niente che accenni a un ipotetico diversivo scenico, se non dei sibili e dei borbotti lanciati sotto la gracchiante voce di un verme, quale sarà nel secondo atto strisciando ai piedi della montagna wilsoniana. La Asti a confronto, con sua voce roca, tetra e allo stesso tempo “luminosa”, si cimenta in un divertente e amabile registro di espressioni, non del tutto però sufficenti per l’intera durata dello spettacolo a tenere saldamente attento il pubblico in sala. Le espressioni ruotano intorno alla disperazione e soprattutto alla felicità del giorno che verrà, un inizio caratterizzato dallo squillo di un campanello, e questa felicità si tramuta in una serie di azioni collegati a tutti gli utensili di Beckett detti nel testo: la pistola, il trucco, la sporta, l’ombrellino. La coordinazione dei gesti in un ritmo limitato ovviamente dalla sola presenza del busto della Asti/ Willie permette l’intesa di un’inquietudine e di una preoccupazione che questa vita proseguirà per molto o finirà per risucchiare del tutto la protagonista,dato l’inizio di un secondo atto che non la vede più bloccata dal busto in su, ma dalla faccia. Seppur amorevolmente è ancora legata al povero Willie, che siano gli effetti di luce sul fondo scenico bianco, marchio di Wilson, a cogliere le speranze della povera Winnie e dello spettatore da questo pessimismo. La parola a chi potrà vedere questa ennesima misteriosa, ma suggestiva rappresentazione di Giorni Felici.

Buona scena! Mauro Sole

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