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giovedì 10 giugno 2010

FINALE DI PARTITA

di Samuel Beckett
traduzione Carlo Fruttero, regia Massimo Castri

con Vittorio Franceschi, Milutin Dapcevic, Diana Hobel, Antonio Giuseppe Peligra

Se in Aspettando Godot si riesce a intravedere un'ambientazione quasi realistica, - un albero, una strada di campagna - Finale di partita si svolge in uno scenario che oggi potremo definire post-atomico: tutto lascia presagire che sia avvenuta una catastrofe che ha cancellato pressoché ogni traccia di vita sulla terra. La stanza in cui si consuma Finale di Partita è stata paragonata all'interno di una cavità cranica, per le altre due finestre centrali che potrebbero ricordare le cavità oculari. Altre letture hanno lasciato intendere che la scena sia in realtà l'interno di una grande arca che sta solcando il pianeta all'indomani di un nuovo esiziale diluvio.

(fonte : http://www.teatrodiroma.net/adon.pl?act=doc&doc=720)

Per la prima volta il celebre regista si mette a confronto con un testo di Beckett, “Finale di Partita”. Il testo, si sa, è un altro grande prodotto di quella scuola che era il “Teatro dell’assurdo” e in quanto tale può produrre un effetto di stordimento e confusione nello spettatore. Ma Beckett talvolta arriva al cuore, proprio quando vengono meno quelle barriere intellettuali che cercano di risolvere i misteri in cui ci ha intrappolato il drammaturgo irlandese. Rappresentare questa pièce è sempre, per sua stessa natura, una grande sfida per un regista. E Castri abilmente dipinge un quadro meravigliosamente angosciante, tinto di grigio nelle pareti, senza limitarsi ad omaggiare il titolo anche nella scenografia (si guardi a un pavimento scherzosamente fatto di mattonelle disposte a modò di scacchi). È necessario puntualizzare che in questa cornice, anche i punti più apparentemente comici si legano a questa linea dell’angoscia, della solitudine: le camminate robotiche del servo Clov, eseguite passo per passo da Milutin Dapcevic (magistrale attore di Castri che in quest’occasione sorprende nella sua goffa e grottesca immagine, quasi da Charlot) in realtà non sono che frutto probabilmente di quella tensione emotiva del personaggio sempre in netto contrasto col padrone Hamm. Clov è quasi sempre sul punto di esplodere, mentre Hamm seppur costretto a rimanere su di una sedia a rotelle, parla con fierezza e scaltrezza, un linguaggio dettato da un naturale movimento delle mani e lo sguardo perso e vago, occhi che per quanto coperti dagli occhiali che marcano la sua cecità, parlano dello sconcerto quanto il testo che gli attori hanno incorporato. Una grande prova attoriale questa di Vittorio Franceschi, specie in una prima estiva caratterizzato da un caldo di sala che avrà pesato molto di più sull'attore con tanto di vestaglia e plaid, che non al pubblico superficiale deciso ad abbandonare la sala per l'alta temperatura e i cui spostamenti hanno lasciato il segno. Ma nemmeno il fastidioso squillo di cellulare, ormai di norma, è riuscito a rompere il ritmo di questa messa in scena che ci riserba immancabilmente, com'è tipico del sotto testo di Castri, un estrosa e fiabesca coppia di giovani attori, Diana Hobel e Antonio Peligra, rispettivamente Nell e Nag, gli anziani genitori di Hamm. Come vuole il testo, vivono in due bidoni della spazzatura da disabili, non aventi le gambe, e la loro padronanza del corpo magicamente li trasforma quasi in delle vere e proprie marionette senza il sostegno dei piedi, appoggiati ai bordi dei bidoni e appoggiati emotivamente a una follia ingorda: Nag va in estasi al solo pensier di poter anche solo succhiare il suo biscotto. È solo uno dei tanti aspetti curiosi della messa in scena di Castri, attraverso cui anche questa volta “l'Assurdo” trova il suo terreno!

Buona scena! Mauro Sole

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