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venerdì 14 maggio 2010

IO NON CONOSCO SEMBRA

da HAMLET di William Shakespeare e PINOCCHIO di Carlo Collodi

progetto drammaturgico, regia e spazio scenico: FORTUNATO CERLINO

con Roberto Cardone, Leonardo Gambardella, Luchino Giordana

Antonio Lanera, Valentina Valsania, Massimo Zordan

Teatro della Culture – Roma, fino al 30 maggio

Amleto e Pinocchio sono due figure divenute patrimonio dell'immaginario collettivo legate in qualche modo al percorso della crescita e della consapevolezza di Sé. Entrambi i personaggi si confrontano con il tema dell'evoluzione piuttosto che quello della rivoluzione. Sono i protagonisti di due favole, di due viaggi attraverso il mondo conosciuto alla ricerca di una diversa prospettiva che liberi dalle catene della meccanicità. Di Pinocchio si conosce la genesi, ma anche la vicenda di Amleto deriva da una favola. La storia di Amleto, principe di Danimarca, resa famosa dal genio di Shakespeare, esisteva già nel mito, narrata nei libri III e IV del “Gesta Danorum” di Saxo Grammaticus. La figura del principe, nella favola di Saxo si presenta in tutta la sua schiettezza; Amlodi ha il carattere dello sciocco, dello stolto, dello scemo del villaggio, figura chiave in molte tradizioni fiabesche (fonte- http://www.casadelleculture.net/teatro/lungtateatro.html)

L’idea di porre l’attore, la sua fantasia per dar vita a un disegno poetico che unisce due immagini, (Pinocchio e Amleto) due personaggi che non risultano indifferenti nemmeno allo spettatore più comune: è quanto di più meraviglioso e raramente ingegnoso si possa vedere a teatro. Il tutto frutto della creatività di Fortunato Cerlino, regista che è riuscito a varcare l’apparente e superficiale assenza di comunione tra questi due grandi personaggi della letteratura mondiale, trovando delle assonanze e dei punti interessanti che si risolvono in un intreccio Collodi-Shakespeariano dove l’attore sembra artefice stesso della favola, della poesia. Ma niente e nessuna favola avrebbe alcun senso senza lo straordinario cast di attori, straordinario anzitutto perché a differenza di altri tentativi teatrali con nomi tipo “amleto etc”, non getta lo spettatore in preda al sonno della noia, quella noia che spesso si tradisce col comune applauso di convenienza. Ma qui l’applauso è vero, perché appagato di una curiosità che pervade sino alla fine dello spettacolo. Sin dal passaggio iniziale, quello del prologo compiuto dal bravissimo Massimo Zordan al primo dialogo tra le due guardie (Leonardo Gambarella e Roberto Cardone) che avrebbero visto il fantasma del re, è evidente che il tessuto drammaturgico si arricchisce di allusioni a un teatro decadente e alla musicalità popolana e dialettale. Su quest’ultima linea, sono sempre i due attori appena citati a contenersi, lasciandoci qualche assaggio di napoletano anche nei panni di Rosencrantz e Guildenstern, e inevitabilmente anche in quelli del gatto e la volpe. Non di meno è anche Re Claudio, interpretato da Antonio Lanera, al quale vien quasi voglia di credere nella sua semplice dichiarazione d'innocenza, marcata da una sottile ironia per l'accento pugliese, specie quando si dichiara ad Amleto. E a questo punto, il destino che dovrà seguire il famoso principe della Danimarca viene costruito pezzo per pezzo dalle espressioni e dalle direzioni di Luchino Giordana, un Amleto moderno che insegue la vendetta del padre anche nel sogno. Il sogno equivale alla dimensione di Pinocchio, e Giordana abilmente mantiene una sensibilità tale da fondere il desiderio di libertà del burattino collodiano con quello del personaggio shakespeariano, a tratti sotto l'ombra di Orazio (Massimo Zordan), come se questi diventasse la sua guida. A questa cornice mistica non può non mancare un'attraente regina (Valentina Valsania), l'ennesima immagine attraverso la quale la regia sfrutta al massimo le potenzialità interpretative tanto da rovesciare le parti e lasciare che sia il corpo femminile appartenuto prima alla “regina traditrice”, a incarnare il fantasma del defunto marito nell'apparizione al giovane principe. Questo e altro in questa raffinata messa in scena che ci auguriamo ben presto di rivedere sui palcoscenici italiani.

Buona scena! Mauro Sole

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