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sabato 24 aprile 2010

DELITTO & CASTIGO

di Fëdor Dostoevskij

Adattamento Francesco Giuffrè e Riccardo Scarafoni


Regia Francesco Giuffrè

con Livia Alcalde, Alfredo Angelici, Massimiliano Benvenuto,

Massimiliano Mecca, MartaNuti


fino al 25 al teatro Argot, Roma


Delitto&Castigo è uno dei romanzi più influenti della letteratura russa, e non solo, di tutti i tempi. Dopo "Profumo" "Cuore di cane" e "Othellow", con "Delitto&Castigo" continuo il mio percorso registico con un altra storia che scandaglia l'animo umano fino alla sua più estrema profondità, nelle pieghe più segrete e intime dell'uomo. Raskolnikov, il protagonista del romanzo, è un uomo, "nudo" e vulnerabile, che vuole lottare contro quello che pare il suo fallimentare destino credendosi un uomo forte, superiore, un uomo che può arrogarsi quel diritto non scritto per poter cambiare la sua vita e il percorso inevitabile della sua sorte. Raskolnikov pensa di poter trascendere il limite morale comune uccidendo una vecchia usuraia, rubandole i soldi, ed usandoli per aiutare se stesso e gli altri. E' dunque la storia di un fallimento, il castigo che segue al delitto, non è tanto il senso di colpa ma il comprendere che questo senso di colpa non è superabile, che lui, dunque, non è un uomo superiore agli altri. E' sostanzialmente il dramma di comprendere che egli è soltanto uno dei tanti uomini che passeranno su questo mondo senza poter lasciare traccia.

(Fonte: http://www.teatroargotstudio.com/teatroargotstudio.com/HOME.html)

La trasposizione teatrale di alcuni dei più importanti romanzi della letteratura russa è ormai all’ordine del giorno nel fervore innovativo cui si assiste sui palcoscenici italiani: si pensi al successo dell’Anna Karenina messa in scena da Nekrosius due stagioni fa, oppure il recentissimo allestimento di Peter Stein “I demoni”. Non meno efficace è stata la “modesta” messa in scena per la regia di Francesco Giuffrè di “Delitto&Castigo” che ha debuttato al teatro Argot il 13 aprile. Modesta non perché apparentemente meno impegnativa rispetti agli allestimenti già citati, ma perché trova uno dei suoi punti chiave d’espressione proprio in una modestia scenografica che però implica una forte interazione tra i vari personaggi sulla scena. Il buio che poco a poco si dissipa all’inizio dello spettacolo, lasciando ombre di luce sui personaggi che cominciano a presentarsi in una macabra cornice uniforme, preannuncia la forte tensione scaturita dalle ossessioni di Raskol'nikov, il protagonista. Ma il tormento di costui per l’omicidio compiuto della vecchia usuraia è solo una delle tessere che compongono il mosaico corale cui danno vita gli attori, prima passanti ubriachi per la strada, poi povera gente inaridita dal gelo: sono momenti cui Dostoevskij, ma anche Tolstoj dedicano intere pagine dei loro romanzi a quella Russia popolana sterminata dal degrado e dalla povertà, prima ancor del fermento rivoluzionario di cui sappiamo. Il tutto dettato da oggetti che con gli attori costituiscono una vera “scenografia vivente”: bottiglie in secchi trascinati, candele per terra illuminate che fanno da sfondo al clima straziante di Dunja, sorella di Raskol'nikov, affetta dal dolore per l’amore impossibile per il malvagio Luzin, alla vicenda della giovane Sonja Marmeladovna, ridotta a prostituirsi a causa delle abitudinarie ubriacature del padre. Al centro, in fondo alla parete grigia del teatro, una grande croce in legno grezzo regna sovrana sulla scena accompagnando le vicissitudini dei personaggi che si alternano in quadri d’intenso spessore drammatico. La croce simboleggia quell’esistenzialismo cristiano che Dostoevskij attribuisce soprattutto al personaggio di Sonja, che nell’azione non esita a manifestare cercando di mantenere in equilibrio la croce nelle sue mani, poggiata sul pavimento, e dicendo a se stessa e a Raskol'nikov “Solo con l’aiuto di Dio….”. E’ lo stesso esistenzialismo che rifiuterà il protagonista, e per questo condannato alla follia del suo stesso delitto, un delitto più volte mormorato dagli altri personaggi, quasi fossero diventati le ombre oscure del suo stesso male. Da segnalare la singolare interpretazione di Massimiliano Mecca nel ruolo della mente malata del protagonista, e che regala al pubblico momenti di tragi-comicità, in grado di lasciare un sorriso anche nei punti più salienti che toccano la sconfinata pazzia dell’essere umano.

Buona scena!

Mauro Sole

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