QUATTRO ATTI PROFANI
di Antonio Tarantino
con Maria Paiato, Valter Malosti
Mauro Avogadro, Michele Di Mauro
regia Valter Malosti
Teatro Eliseo fino al 14 marzo
Sacra rappresentazione, mistero, via crucis. Fantasmi, feticci, memorie sepolte (e scolastiche) che all’improvviso sembrano accendersi di nuova vita, come colpite da un fascio di luce cruda e violenta, nel momento in cui si incontrano e si percorrono, sulla scena o nei testi, i drammi di Tarantino. Al tempo stesso, davanti agli occhi della mente si materializzano, e si agitano nel pensiero, le ombre amate di Pasolini e di Testori… Per questa nuova produzione, Valter Malosti ha scelto di riunire in un unico corpus i “quattro atti” (Stabat Mater, Passione secondo Giovanni, Vespro della Beata Vergine, Lustrini).
[Fonte:www.teatroeliseo.it]
Il sipario si apre su una affascinante scenografia, che nel corso dello spettacolo si rivela all’avanguardia anche da un punto di vista “tecnologico”, mediante l’utilizzo di luci ed effetti scenici di indubbio valore: questo spazio ospita le vicende di quattro relitti umani. A giusta ragione, infatti, la presentazione di questo spettacolo parla di un vivo riferimento a Giovanni Testori. Eccoli, in scena, gli Scarozzanti, i guitti protagonisti della trilogia testoriana degli anni ’70, che con il loro linguaggio non certamente quotidiano e accettabile (dal finto pubblico benpensante) riescono, tramite le parole che l’autore utilizza mediante la loro voce, a raggiungere lo scopo essenziale: punzecchiare il pubblico, guardare con disprezzo quella società deviata di cui, in fondo, loro stessi sono vittima. Un linguaggio scurrile, ai limiti, osceno, imbarazzante ma funzionale.
Le quattro storie unite per l’occasione dal regista-“neo-drammaturgo” dei quattro atti di Tarantino, pur riuscendo nell’operazione drammaturgica e artistica, non riesce – a mio avviso – a tener conto di chi quello spettacolo deve guardarlo. Al di là del puro autoreferenzialismo di cui sono vittima oggi molti giovani teatranti, una cosa va detta e va tenuta presente: a teatro ci va il pubblico, ci vanno – innanzitutto – cittadini, individui. Credo che oggi nell’assistere ad uno spettacolo della durata di circa 540000 secondi (di cui 7200 di intervallo) è evidente che qualcuno possa addormentarsi, abbandonare quel luogo sacro o addirittura, fare l’ultimo applauso non tanto per lo spettacolo quanto per la fine di esso. Il lettore non creda che i critici, i registi, i giornalisti che storceranno il muso leggendo queste mie parole si possano scandalizzare: sono i primi, lì, ad appisolarsi dolcemente. Detto questo, che riguarda a onor del vero, scelte di carattere registico-drammaturgico c’è da inchinarsi al cospetto di cotanta magnificenza attoriale. I quattro protagonisti a partire dalla stra-ordinaria Maria Paiato danno uno spessore indiscutibile all’operazione teatrale in atto. E’ certamente uno spettacolo che fa discutere, ma è proprio su questo che – credo – si regga. Non è certamente una messinscena che si può guardare per gustarsi “una beata digestione”...per fortuna!
Buona Scena!
Carlo Dilonardo
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