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martedì 31 gennaio 2012


Dal profondo

di Annamaria Panzera

con

Emanuele Vezzoli, Laura Riccioli

Sarah Sammartino, Libero Monti, Pietro Grant, Chiara Scalise

30 gennaio 2011 - Teatro Colosseo - Roma

In seguito alla perdita improvvisa dell’unica figlia, un padre e una madre sprofondano in un abisso di disperazione. La madre viene colpita da un ictus e non parla più, il padre – il narratore – schiacciato da questi eventi, attraverso i pensieri, le domande esistenziali, le riflessioni su se stesso e sulle persone che lo circondano, entra in una dimensione ‘onirica’ dove il vero e il falso, il reale e l’irreale, il possibile e il non possibile si fondono. E’ una situazione tragica e grottesca allo stesso tempo, il narratore non si rende conto di essersi addentrato in un tunnel senza vi d’uscita. Ma una persona verrà in suo aiuto, facendogli intravedere la possibilità e la necessità, per lui e sua moglie, di continuare a vivere, seppur dolorosamente, in maniera accettabile per entrambi.

Buio. Silenzio. Luce. Inizio spettacolo.

Il flauto dell'incantatore attira il cobra per la forma e il movimento: il timbro e l’intensità della voce di Emanuele Vezzoli incantano ed ammaliano in egual misura il pubblico del Teatro Colosseo di Roma. I più esperti potranno obiettare che, in realtà, il serpente viene attirato non tanto dal suono ma dalla la forma e dal movimento dello strumento. E allora rispondiamo che di fronte a questa osservazione che l’attore ci regala un momento di grande emozione e di sublimi sensazioni anche e soprattutto quando inizia a dar forma e movimento al proprio corpo. Ogni gesto, ogni tensione sul suo viso, sul suo corpo completano il senso d’attrazione che vorremmo ritrovare in ogni attore. La dimensione in cui Vezzoli ci cala, grazie anche al sublime contributo di Laura Riccioli, la quale pur se immobile in scena riesce a creare la sensazione dell’urlo muto di Madre Coraggio, è una dimensione-altra, quella dimensione di puro teatro che raramente, ormai, siamo abituati a vedere. Un tema molto delicato quello toccato dal testo, in cui un uomo si ritrova in una condizione di tripla solitudine dovuta alla prematura morte della figlia cui fa eco una non-morte della moglie-madre costretta a stare seduta e muta, pur se cosciente, su una sedia girevole da studio. L’essere umano che Vezzoli ci presenta di vive un momento che non può essere compreso da chi una situazione analoga non ha avuto la sfortuna di viverla: il padre-marito, si scaglia contro la realtà, vorrebbe prendere quel maledetto omicida della figlia, un pazzo, un criminale che dopo averla investita non si è fermato a soccorrerla; così come, dall’altra parte vorrebbe egli stesso non rispettare la legge cercando con insistenza la persona a cui è stato trapiantato il cuore di sua figlia. Quella che tramite gli attori arriva al pubblico è una sensazione di impotenza che si trasferisce direttamente nel corpo di ciascuno spettatore facendo sentire brividi che tengono, per tutto il tempo della rappresentazione, con il fiato sospeso. Funzionale la regia di Annamaria Panzera, soprattutto geniale l’utilizzo di un tapis roulant che ad ogni passo di Vezzoli, riporta il suo “cammino” su uno schermo dove vengono proiettate immagini di una città vuota, silenziosa, indifferente al dolore che ha colpito l’uomo e la sua vita.

C’è un immenso abuso di aggettivi o parole per definire il teatro e gli spettacoli, aggettivi e parole, a volte “regalati” o “comprati”. In questo caso, onestamente, ci sentiamo di dire “grazie”: perché finalmente il mezzo teatrale si è manifestato per il suo valore civile. Valore intrinseco che dovrebbe avere, sempre. Grazie…di cuore.

Buona Scena! Carlo Dilonardo

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