più di 10.000 lettori hanno scelto LE GRANDI DIONISIE...

lunedì 4 luglio 2011

Antonio Latella, tra onirico e nuove realtà

di Mauro Sole

All'apice della sua carriera, Antonio Latella, continua a suscitare un interesse che cresce sempre più a dismisura per i suoi spettacoli. Muovendosi tra tematiche forti, riscritture drammaturgiche di classici, con un occhio di riguardo verso la drammaturgia contemporanea, il regista napoletano non smette di mantenere viva la linea delle sue messe in scena tracciate da un lavoro in continuo rinnovamento fra il piano simbolico che rappresenta il testo e l'emotività dell'attore. Alcuni dei suoi ultimi lavori sottolineano maggiormente il rapporto dell'individuo rispetto alla contemporaneità, un'interpretazione che traccia quasi un magico excursus, una distorsione dal mondo reale equivalente all'evasione nel teatro. Ce ne danno dimostrazione [H]L_DOPA e Don Chisciotte due spettacoli rappresentati anche a Roma, dopo il loro debutto nel gennaio del 2010 al Nuovo Teatro Nuovo.



[H] L_DOPA

drammaturgia di gruppo a cura di Antonio Latella e Linda Dalisi

con Alexandre Aflafo, Jean-François Bourinet, Paula Diogo, Estelle Franco, Julián Fuentes Reta, Natalia Hernandez Arévalo, Dominique Pattuelli, Luís Godinho, Valentina Gristina, Daniela Labbé Cabrera, Emiliano Masala, Martim Pedroso, Daniele Pilli, Ana Portolés.

scene e costumi Fabio Sonnino; musiche Franco Visioli; luci Giorgio Cervesi Ripa

regia ANTONIO LATELLA

produzione Nuovo Teatro Nuovo di Napoli

Teatro Eliseo, Roma 27Maggio

[H]L_DOPA è il secondo “risultato”, dopo Pericle, tra il regista e il gruppo di attori formati all'Ecole des Maitres nell'edizione 2006/07. Il tema della malattia viene rappresentato in tre atti attraverso un gruppo di personaggi che dal proscenio, dopo un'irruente entrata nella platea a base di pillole pop, si apprestano a raccontare nella lucidità gli effetti e le storie tormentate della paura, della follia e della malattia cui sono affetti i protagonisti di questo delicato viaggio. Tale rimane se non fosse anche per il pizzico di ironia trasgressiva che alcuni dei bravi attori incidono nella prima parte della pièce, svelandoci un assaggio di questa drammaturgia di gruppo: prima fra tutti spicca la giovane e bravissima italiana Valentina Gristina, la simpaticissima Natalia Hernandez Arévalo, i mille volti e gli interventi comicamente inopportuni di Alexandre Aflafo. Desiderosi di rimanere aggrappati alle loro vite, come rappresentano le piantine che ciascuno ha davanti a sé, i tredici interpreti si susseguono in un ritmo dove al racconto dell'esistenza quasi anomala per via dell'encefalite letargica, sussegue un viaggio tra il risveglio e la soglia di un sogno, tutto attraverso l'occhio imperscrutabile del dottore Sacks (un pungente e incisivo Emiliano Masala). La somministrazione della L-Dopa è la chiave d'ingresso in una dimensione che è prima quella della malattia stessa, dove ciascun personaggio si fa protagonista di una propria storia, ma accomunata da quella del prossimo attraverso un infinito desiderio di vita e amore. Cosa sarebbero l'amore e la vita in questa messa in scena che rifugge dall'incubo di una sorte predestinata, se non regalando uno strato di dolore quasi scavato a fondo attraverso il corpo (gesti alludenti al vizio, ai tic, alla masturbazione) e che riflette a sua volta la paura di essere un substrato sociale (qualcuno golosamente grasso, una pin-up caliente, o un egoista innamorato preso dalla disperazione)? Inevitabilmente il terzo atto si apre sulla fragilità di una realtà già vissuta, l'infanzia che però può rivivere nel sogno. Ecco che la platea, come all'inizio dello spettacolo, sarà nuovamente presa d'assalto da una miriade di personaggi tratti dai fumetti e dai cartoni animati che sfogheranno il proprio diritto di sussistenza, a seconda della forza creativa che il malato prova a se stesso e agli altri per essere l'eroe d'animazione a lui caro: più di tutti travolgerà Martin Pedroso nei panni di un'insolita Jessica Rabbit senza fronzoli dal fascino malefico, ma disegnata come una delle punte più alte della tenerezza di questo vortice voluminoso. Questo “farmaco” prescritto dal giovane regista esplode nuovamente fra i colori e la freddezza di alcune sequenze coreografiche che lasciano il pubblico abbracciato in una morsa lungimirante, in un attraversamento vero e inaspettato della platea dei tredici malati, aggrappati ben saldi, anche con qualche aiuto degli spettatori, sulle poltrone in sala mentre si congedano dal dottor Sacks. Un viaggio durato quasi quattro ore ma volato grazie al trasporto di questi giovani attori con cui la maggior parte del pubblico si è riconosciuto e ha apprezzato calorosamente.

Mauro Sole


DON CHISCIOTTE

regia
Antonio Latella
con
Francesco Manetti e Stefano Laguni
drammaturgia Federico Bellini
disegno luci Giorgio Cervesi Ripa
realizzazione scena Clelio Alfinito
realizzazione costumi Cinzia Virguti
produzione Nuovo Teatro Nuovo

9 Giugno, Teatro India

Quale parabola migliore per dispiegare il tormentato travaglio che scinde il sogno dalla vita, la vita dalla realtà, se non il Don Chisciotte? Il romanzo di Cervantes rivive nella nuova drammaturgia di Federico Bellini in una linea onirica unita alla regia di Latella, lasciando che lo spazio si dilati come il tempo mai finito per le avventure dell' anziano cavaliere che andò alla ricerca di nobili imprese da compiere. Nel tempo odierno non ci sono mulini a vento e l'immagine di Dulcinea come candida donzella del ‘600 non è altro che un ricordo delle romanze dell'epoca. Perché il Don Chisciotte di Latella possa trovare nuove spedizioni eroiche nel ventunesimo secolo, il travaglio deve configurare una ricerca che attrae perennemente l'attenzione del pubblico. Esso non è che l'ennesimo ingrediente di questa ricetta metateatrale, una “lasagna” come la definiscono i due interpreti, che si evolve tra lo stato di contemplazione degli attori su se stessi rispetto alla realtà quotidiana che vivono e sulla storia del protagonista e del suo Sancho Panza. Il delirio, se non il sogno, si ripete nell'accavallarsi tra attori (i bravissimi Francesco Manetti e Stefano Laguni) e personaggi, Don Chisciotte e il suo scudiero, che dall'accoglienza in sala nell'ondeggiamento tipico dei nottambuli, rincorrono il sogno di ritrovare quella storia anche nel loro piccolo. La regia, per questo, ricorre efficacemente ai libri animati che animano a loro volta la schizofrenia dei due, in particolar modo di Francesco Manetti, superbo nella sua incontenibile pazzia che lo riconducono alle immagini di qualche spinello di troppo, del ponte di Messina sgretolato, delle storie di sesso e episodi anomali simili. E come se non bastasse i due personaggi, oltre che a trasudare l'amore per questa soglia che veicola anche la follia (ma che è anzitutto amore per il teatro) rappresentano l'amore del regista che saturo dei suoi anni di carriera, spiazza con una totale autoironia sposatasi con l'improvvisazione degli attori i quali ci parlano dei così detti aneddoti “latelliani” come la messa a nudo e l'abbattimento della quarta parete. Confluendo le energie in uno spettacolo tra un dialogo più diretto, a volte meno, ma mai distaccato col pubblico, l'umanità di Don Chisciotte riesce a toccarci e ad arrivarci sotto effetto di un mondo contemporaneo interpretato con sincero pessimismo, quell'onda anomala che fa di noi dei dipendenti bancari affossati nell'ufficio come racconta il monologo del nuovo cavaliere e i cui libri sono l'àncora per poter nuovamente rivivere.

Mauro Sole

Nessun commento:

Posta un commento